È un tranquillo pomeriggio di quarantena quando leggo su whatsapp un messaggio della mia amica Samanta di Acta, l’associazione nazionale dei freelance di cui faccio parte da ormai 4 (o 5?) anni. Mi chiede se un giornalista della RAI (LA RAI?!) mi può intervistare per sapere la mia condizione lavorativa ai tempi del coronavirus.
Rileggo il messaggio, forse ho capito male. LA RAI?? UNA VIDEO-INTERVISTA? OH MAMMA, ho letto bene. Vuole sapere come procede il mio lavoro di fotografa di eventi in un momento così delicato. Il settore degli eventi è uno di quelli più colpiti dal coronavirus.
Prima regola: evitare gli assembramenti. Quindi eventi rimandati se non annullati. Per molti non avrebbe senso spostarli in altri periodi dell’anno. Metto da parte l’enorme imbarazzo (chi mi conosce sa che non amo parlare in pubblico perché preferisco i dialoghi one-to-one) e accetto. In quel momento mi sento un piccolo tassello di una categoria gigante ed è giusto che dica la mia in proposito. La sera sento il giornalista, la chiacchierata va benissimo, lui mi mette a mio agio e spiego tutto: che ho stimato una perdita di circa 2000 euro solo per gli eventi, che temo per il futuro, che l’economia della mia famiglia sta subendo un contraccolpo parecchio pesante e che l’organizzazione quotidiana è complicata con una bimba che non può andare all’asilo, un marito che fa smart-working e il lavoro da copy che (fortunatamente) prosegue senza sosta. Ora ho meno tempo e comunque tante cose da fare.
Ci accordiamo per una call su Skype il giorno dopo. Rifaremo l’intervista e la registrerà per il programma che andrà in onda il giorno successivo. Mi faccio la doccia, cerco di sistemarmi un po’ i capelli che ormai sono diventati un dread in quarantena. Passo anche un filo di trucco anche se gli ombretti ormai sono quasi impolverati dopo settimane in casa. Qualche problemino tecnico da parte mia (non sono abituata ad essere intervistata) ma in generale va abbastanza bene. Avviso i miei amici e parenti vari, sono carica a pallettoni: sono lusingata di poter far sentire la mia voce di freelance. Non veniamo ascoltati molto spesso (anzi, quasi mai!). Il giorno dopo accendo la tv con pop-corn e birra (metaforicamente) e assisto a due ore di trasmissione in cui però hanno scelto di parlare dei problemi nella sanità e di focalizzarsi poco sul lavoro, quindi l’intervista non viene mandata in onda. Ho la goccia sulla testa come nei cartoni giapponesi ma capisco che le scelte editoriali dipendano da “cause di forza maggiore” soprattutto, immagino, in periodi come questo.
Mai darsi per vinti, dicono, no? E così il venerdì successivo accendo la tv, metto su Rai1 e dopo un’ora e venti circa… eccomi! La mia intervista in un servizio in cui si indaga, da nord a sud, la difficoltà di essere freelance ai tempi del Coronavirus. Ora sì che sono contenta! E lo sono così tanto che vi faccio vedere il video 🙂
Da questa esperienza ho imparato tantissimo: a raccontare le mie impressioni, a superare un po’ la paura delle interviste (ecco, forse non hai imparato a riassumere – direte voi).
Grazie ad associazioni come Acta abbiamo la possibilità di essere ascoltati. Facciamoci sentire (e non solo grazie a Mamma RAI)!